Tra decine di foto che stavo visionando è spuntata una di quelle che vedete sotto.
E una corda ha vibrato.
La potenza evocativa delle sue immagini mi ha colpito al primo sguardo.
Emerge un profondo silenzio, atmosfere in cui la presenza umana è solo accennata e la ricerca del senso delle cose è connessa intrinsecamente al ricordo.
Nato ad Asti nel 1962, vive a Pino Torinese (Torino).
Le sue opere fanno parte di diverse collezioni d'arte contemporanea private, di fondazioni e musei tra cui la GAM di Torino.
Sono state presentate in numerose fiere d'arte contemporanea, tra cui: Arco di Madrid, Artissima a Torino, Artefiera a Bologna, Arteverona a Verona, Miart a Milano.
Prima di arrivare all'intervista propongo una personale lettura della fotografia seguente.
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© Pierluigi Fresia |
L'atmosfera, il tono cupo, la nebbia, creano una sensazione di solitudine.
Una vecchia baracca contribuisce a dare un aspetto di vecchia decadenza.
Mi perdo in un deserto esistenziale e mi fermo di fronte all'oggetto smarrendomi.
Mi perdo in un deserto esistenziale e mi fermo di fronte all'oggetto smarrendomi.
L'animo si ferma di fronte a un nulla apparente.
Non è facile trovare un senso, sembra di essere al cospetto di un vuoto cosmico.
L'oggetto rappresentato diventa pura tensione conoscitiva e, come spesso accade con le grandi fotografie,
si trasforma, diventando un simbolo.
Luogo privilegiato di questo simbolo è la mente in cui il significato nascosto esplode senza far rumore.
La dimensione onirica si unisce al reale, il dato fenomenico scompare e diventa già immagine del ricordo.
Cosa c'è in questo scatto che pur deve rappresentare la realtà, ma di quale realtà stiamo parlando?
E' l'osservatore che crea la sua realtà non basata sul senso oggettivo piuttosto su una dimensione esistenziale unica.
Forse mi sto perdendo in descrizioni astruse...
Concludo citando John Szarkowski il quale una volta disse che il materiale di base della fotografia non è intrinsecamente bello, non bisogna guardare all'oggetto ma piuttosto attraverso di esso, la fotografia è una finestra. E io guardando questo capolavoro non guardo una vecchia baracca nella nebbia, piuttosto ammiro una sconfinata regione della mente in cui l'istante impresso esplode in qualcosa che definirei un momento dell'esistenza.
La dimensione onirica si unisce al reale, il dato fenomenico scompare e diventa già immagine del ricordo.
Cosa c'è in questo scatto che pur deve rappresentare la realtà, ma di quale realtà stiamo parlando?
E' l'osservatore che crea la sua realtà non basata sul senso oggettivo piuttosto su una dimensione esistenziale unica.
Forse mi sto perdendo in descrizioni astruse...
Concludo citando John Szarkowski il quale una volta disse che il materiale di base della fotografia non è intrinsecamente bello, non bisogna guardare all'oggetto ma piuttosto attraverso di esso, la fotografia è una finestra. E io guardando questo capolavoro non guardo una vecchia baracca nella nebbia, piuttosto ammiro una sconfinata regione della mente in cui l'istante impresso esplode in qualcosa che definirei un momento dell'esistenza.
E' incredibile quello che si può provare di fronte ad una fotografia e spesso spiegarlo con le parole è difficile.
Proprio per questo non appena mi sono imbattuto nei lavori di Fresia ho subito sentito l’esigenza di contattarlo non solo per chiedergli il permesso di pubblicazione ma soprattutto per porgli alcune domande.
Di seguito trovate l'intervista che gentilmente mi ha concesso:
R.M. Qual'è la sua personale visione della fotografia?
P.F. Uso la fotografia da parecchi anni, circa venti, alternandola ad altri media come pittura, l’installazione e il video, ritengo però che più di altro la fotografia mi permetta, proprio a partire dal procedimento fisico che è alla base della sua creazione, di avere a che fare in modo tangibile col tempo che, da dimensione fisica diventa qualità esistenziale, elemento insostituibile della memoria.
L’esposizione è già nostalgia appena l’otturatore si richiude, l’irripetibilità dell’istante colto è infinitamente importante per me, non ritengo l’immagine fotografica testimonianza di un accadere qualunque esso sia, bensì coscienza di una perdita dunque coscienza di un’assenza incolmabile.
R.M. L’assenza di soggetti umani, di cui però, si intuisce la presenza a quale moto artistico o interiore risponde?
P.F. Come ho cercato di spiegare nella prima risposta quell’assenza incolmabile difficilmente può sussistere in relazione ad un’identità umana precisa e presente.
Alcune immagini, ad essere sincero, hanno all’interno di esse la presenza umana ma mai come soggetto, sono elementi compositivi che aiutano e accentuano con la loro neutralità di gruppo/massa il disumano del nulla.
R.M. La scelta di accompagnare le immagini ad una frase è legata ad una sua personale vena poetica? Come nasce questa sua idea?
P.F. Le parole e il loro significato potrebbero anche avere una funzione maieutica, in quanto si è immediatamente spinti a relazionarle con le immagini ipotizzando quindi una narrazione che di per sé non esisterebbe se non nella fantasia dell’osservatore; questo elemento abbinato alla circolarità concettuale dei miei testi rende ogni lavoro irrisolto, dunque, alla stregua di un motore immoto, vivo…. Credo.
Ne approfitto per ringraziare ancora una volta Pierluigi Fresia per il tempo e la gentilezza che mi ha dedicato.
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© Pierluigi Fresia - Courtesy Galleria Martano |
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© Pierluigi Fresia |
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© Pierluigi Fresia |
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© Pierluigi Fresia |
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© Pierluigi Fresia |

oh ma e' proprio proprio bravo sto Pierluigi Fresia!! complimentoni!!
RispondiEliminaCiao Loris
Si! Come spiegavo nell'articolo imbattermi nelle sue foto è stato come una folgorazione...!
RispondiEliminaGrazie per il commento..